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domenica 8 gennaio 2012

IL GIARDINO GIAPPONESE E ZEN

ispira sentimenti di tranquillita', di calma e di serenita', e' un angolo di riposo che ci si concede lontano dalla citta' e dai ritmi frenetici del vivere moderno. Essenziale e' il rispetto della natura e delle sue leggi ma anche l'ospitalita', per stupire ed emozionare gli ospiti della casa. Durante tutto l'anno deve accompagnare la casa nel cammino delle stagioni oppure come nel caso del giardino zen di soli ciottoli e pietre, deve rimanere immutato, come un quadro da guardare, un giardino di contemplazione e meditazione che ispira sentimenti profondi.

Per avvicinarsi alla tecnica e alla filosofia che stano alla base della creazione dei giardini giapponesi consideriamo prima gli elementi fondamentali da prendere in considerazione prima della progettazione. Pietra, piante, acqua sono i tre elementi che sono quasi sempre presenti in questo giardino. l'equilibrio tra questi elementi è assai delicato e ha diversi scopi.
Uno è quello di provocare nell'osservatore la sensazione che il giardino sia di grandi dimensione, vengono quindi posizionate le pietre piccole sullo sfondo e le grandi nel centro; i corsi d'acqua e i laghetti sono formati in modo da simulare le forme di un lago che si estende in lontananza; le pietre ricordano i rilievi montuosi.
Un secondo scopo è quello di generare un senso di pace e di armonia generale attraverso alcuni accorgimenti che gli abili giardinieri giapponesi hanno col tempo individuato basandosi sull'osservazione della natura. Dal punto di vista geometrico sono assolutamente da evitare le simmetrie e in generale i numeri pari, ce troppo ricordano ciò che è artificiale. I gruppi di rocce sono composti sempre da elementi diversi e di numero dispari, alternando elementi maschili (alti e spigolosi) ad elementi femminili (bassi e dalle forme morbide).Ad ampi spazi vuoti vengono alternate zone fitte e apparentemente disordinate, a linee geometriche vengono contrapposti elementi dalle forme naturalmente irregolari.
La scelta delle razze vegetali cade solitamente sulle piante tipiche degli ecosistemi giapponesi: il pino, l'acero, il bamboo, l'azalea etc. La coesistenza di così tanti elementi in contraddizione è proprio ciò che rende un giardino giapponese una costante ricerca di avvicinamento all'armonia della natura. Ciò che sta alla base del posizionamento minuzioso di tutti gli elementi è il concetto di sintesi delle sensazioni che, in un piccolo spazio, la natura provoca istintivamente in un' osservatore.




IL GIARDINO GIAPPONESE ( SHAKKEI )



Questo tipo di Giardino Giapponese utilizza gli elementi naturali del paesaggio circostante per creare all'interno dello stesso, un percorso spirituale di comunione con la natura ed il luogo. Elementi di questo giardino sono il LAGHETTO e la CASCATA, come anche l'isola al centro del laghetto e i movimenti del terreno e pietre a rappresentare montagne: un vero e proprio paesaggio preso in prestito dalla natura. Molto importanti sono i diversi punti di vista in movimento e da fermi per la contemplazione: il sentiero nel giardino conduce ad essi attraverso le tipiche step stones, pietre passo che scandiscono il lento ritmo di conoscenza ed esplorazione.

L' equilibrio e' il vero protagonista del giardino giapponese, equilibrio tra le parti: non vi devono essere elementi troppo grandi, pesanti o scuri, oppure devono essere controbilanciati da altri piu' piccoli, leggeri, chiari. E' il principio dello Yin e dello Yang, femminile e maschile, in cui ogni cosa e' controbilanciata dal suo opposto. L'assimetria e un impressione di ordine devono tessere la trama del giardino. La natura avvolge il giardino e il giardino apre una porta per l' uomo verso essa. I suoni dell' acqua che scorre e cade, il vento che fa' stormire le foglie; in questo scenario l' uomo assiste allo scorrere del tempo e viene ricondotto alla transitorieta' della vita umana. Il tutto deve essere improntato alla semplicita', a qualcosa di lasciato incompleto come in una poesia che lascia infinita' di allusioni. E i materiali sono accuratamente scelti e in armonia con il resto: pietre, bamboo, legno, ciotoli, rendono il giardino un piccolo angolo che richiama la natura e la bellezza che ci circonda.



IL GIARDINO DELLA CERIMONIA DEL TE' - LA FONTANA TSUKUBAI
















Altro tipo di giardino giapponese tipico sviluppatosi nel XVI secolo. Un giardino molto piu' spirituale che utilizza la Fontana Zen Tsukubai per la purificazione. Un lento sentiero di pietre passo conduce verso una parte interna piu' piccola e raccolta nei pressi della stanza da te', sukiya. Un percorso quindi cerimoniale per spezzare i legami con il mondo esterno ed entrare in uno stato di tranquillita' e meditazione.





IL GIARDINO ZEN SECCO ( KARESANSUI )


Il giardino zen dei templi buddhisti del Giappone, e' quello secco, di sole pietre e ciottoli, in giapponese Karesansui. Questo tipo particolare di giardino ha origine con l' avvento in Giappone del Buddismo Zen, verso la fine del VI secolo, come ausilio alla meditazione, alla contemplazione e preghiera dei monaci buddisti.

L' esempio più classico che conosciamo di qeusto tipo e' il giardino del tempio di Ryoan-ji, a Kyoto.

La natura anche se non sembra a prima vista e' presente ma in forma simbolica: sabbie e rocce rappresentano l'acqua e le montagne (o isole), portando al limite il concetto minimalista del buddismo zen. La disposizione delle pietre segue schemi precisi, la sabbia viene accuratamente rastrellata attorno alle pietre raffigurando in questo modo le onde del mare. Lapietra, presente in pochi esemplari accuratamente scelti, non solo sta a rappresentare montagne e piante, ma è simbolo di tutte le cose del mondo naturale. Essa si erge a icona dell'esistenza stessa delle cose come le percepiamo, rappresenta la materia in contrapposizione con gli spazi vuoti.

Di solito i giardini Zen, sono piccoli giardini, circondati da muri e osservati come quadri da piattaforme o verande. Un giardino quindi da contemplare, che evoca un significato profondo nell' osservatore e nel suo percorso spirituale e di meditazione. In alcuni casi vengono utilizzati muschi, piante tapezzanti e conifere potate, rododendri ed aceri, a simulare coste e isole. Altre volte si utilizzano anche ponticelli, lanterne, pietre segnapassi e piccole fontane in pietra e bamboo.

Il seguace dello zen è quindi un'osservatore, ed è parte della natura, Egli non cerca di comprendere, il suo campo di azione è l'interazione pacifica con li naturale divenire del mondo materiale.

Il Tempio di Ryoan-ji è famoso per il suo giardino, un perfetto esempio di ispirazione Karesansui. Quindici rocce emergono da un mare di sabbia bianca. La sua semplicità e la sua purezza sono l’emanazione dei principi del Buddismo Zen.









GIARDINO DEL TEMPIO DI GOKONOMIYAJINJIA KYOTO


Una lanterna in pietra accompagna la grande vasca in pietra in questo giardino zen secco. Dietro la lanterna intravediamo un ottimo esempio di pietre disposte a cascata. I pini bianchi dai rami apparentemente immaturi, sono quasi esclusivamente di varietà goyomatsu, affiancati da una camelia dai cinque colori, la preferita di Kobori Enshu creatore del giardino. Da notare inoltre l'alta qualità della copertura in muschio che in maniera progressiva e morbida si fonde con il fondo di ghiaia zen.





TEMPIO DI SANJI CHIONJI - KYOTO


Questo giardino è conosciuto col nome di giardino degli immortali. E' costituito da un laghetto di ghiaia ed un ponticello in pietra che simboleggia il passaggio da questo mondo all'aldilà. La pietra più importante è quella presente dopo il ponte a sinistra chiamata pietra immortale, presente sul luogo ancor prima che il giardono giapponese fosse realizzato dai monaci.











TEMPIO DI SHOKOKUJI - GIARDINI KOISANDO - KYOTO


  
Creato dal famoso maestre zen Muso Soseki, questo giardino in puro stile karesansui. La disposizione delle otto pietre presenti, disposte prevalentemente su di una direttrice orizzontale, fanno pensare ad un design di recente realizzazione, ma sono in realtà state posate in momenti diversi dallo stesso autore del giardino, che ebbe a lungo dubbi sul loro posizionamento. Ai lati del giardino, ove un tempo scorreva un vero e proprio canale, ora esiste una copertura in ciotoli che ricorda il flusso dell'acqua. La bellezza e la qualità di questo giardino zen si apprezzano nella vastità degli spazi vuoti, sapientemente dosati per fermare la percezione del tempo nello spettatore.


martedì 3 gennaio 2012

Versailles

I Giardini di Versailles





 I giardini di Versailles, con il "Petit Parc" (Grand Canal  e Trianon), si estendono per circa 100 ettari. All'uscita del "Petit Parc", il cancello Reale immetteva sul "Grand Parc", riserva di caccia di 6000 ettari, smembrata ai tempi della rivoluzione francese. Per creare questo spettacolare esempio di giardini alla francese, Le Nôtre partì dalla posizione del castello, situato in cima a una collina dalle pendici diseguali, e dalla configurazione del terreno, tagliato da un asse centrale e da una rete di viali già dall'epoca di Luigi XIII, in cui aprì grandi prospettive punteggiate di specchi d'acqua, dando vita a quelli che sono oggi considerati tra le più grandi opere di quell’epoca giunte fino ai nostri giorni. 






Versailles pianta, incisione di J.F.Blondel 1752

                                                                                        Giovanni Li Volti

[La realizzazione di Versailles avvenne attraverso la trasformazione di un originario castello da caccia, nella più grande residenza reale d’Europa.

L’artefice di quest’opera fu Luigi XIV, che espresse la volontà e fornì i mezzi necessari a renderla concreta, e sempre per questa, si avvalse delle capacità artistiche e professionali  dei tre più grandi artisti, ognuno nel suo campo specifico: l’architetto che diresse i lavori Louis Le Vau , successivamente continuati dopo la sua morte da Hardouin-Mansart, il  pittore André Le Brun allievo di Nicolas Poussin e infine il più grande giardiniere dell’epoca André Le Notre.

I lavori, furono lunghi e complessi e si estesero per un periodo di circa 20 anni, solo nel 1682 la capitale del regno diventò Versailles in sostituzione di Parigi; infatti l'inizio dei lavori e i successivi ampliamenti avvennero tra il regno di Luigi XIV fino a Luigi XVI.

Lo stato iniziale in cui si trovava il castello di caccia di Luigi XIII si cita testualmente essere stato “circondato da paludi e acquitrini con poche stanze e piccoli giardini”, è evidente che una prima condizione di non poco conto, nella quale si sono trovati ad operare i progettisti, fu quella relativa ad una bonifica non solo del terreno della residenza ma anche di tutto il territorio circostante.
Vi era da considerare anche   una forte carenza d’acqua per gli impianti idrici adeguati per i giochi d’acqua dei giardini del castello.

S’imposero perciò delle opere idrauliche di proporzioni enormi, non solo per far arrivare l’acqua attraverso le tubature direttamente da Parigi, ma anche per ottenere una potenza tale da consentire lo svolgimento dei giochi d’acqua, a tal proposito furono inventate tecniche specifiche durante il percorso, che riuscirono ad imporre all'acqua la necessaria forza.

Questo aspetto, che la storia non evidenzia, lo si deve a Pietro Francini, figlio e nipote di quei Francini toscani arrivati da Firenze a Parigi per installarsi alla corte della fiorentina Maria dé Medici. Pietro Francini è fu infatti l'esecutore di tutte le prodigiose opere idrauliche, a cominciare dalla grotta della ninfa  Teti, dove gli uccelli canori comandati da un organo idraulico, fanno cadere o scaturire l’acqua in veli argentati o in funghi cristallini.
André Le Notre quindi, massimo ideatore e disegnatore dei parchi di Versailles, che esordì con il parco di Vaux-le-Vicomte, aprì la seconda fase della sua storia artistica, realizzando con Versailles il suo capolavoro.
Le Notre era sensibile alle esigenze della scienza, e questo gli permise di adattare, con grande capacità, la sua creazione con le nuove scoperte delle leggi dell’ottica e dell’idraulica, e attraverso lo studio delle acque e dell’atmosfera creò le meraviglie che noi tutti conosciamo.
A Versailles oltre a costruire le fontane eccezionali, furono anche trapiantate intere foreste della Normandia e delle Fiandre e inoltre si fece mandare 50.000 bulbi da Costantinopoli, il regno orientale dei fiori.

Siamo verso la fine del milleseicento, e proprio con Le Notre che inizia un nuovo modo di progettare i giardini che prenderà il nome di “parterre”, infatti, si trattava di disporre il giardino in modo tale che fosse visibile anche da una certa distanza e che si estendesse lontano dall’abitazione.
Ma il parterre francese prevedeva che una visione d’insieme fosse di fondamentale importanza, e che fosse architettato con un viale centrale che si allungasse dalla casa verso le due parti del giardino perdendosi  lontano, come per dare la sensazione di controllare lo spazio.
Questo modo di costruire i giardini con schemi razionali e prospettici, furono per molti anni predominanti nella cultura europea dei giardini, e furono un modello fino agli ultimi decenni del XIX secolo. 





 L'architetto iniziò a realizzare, ai piedi del castello, una serie di terrazze degradanti, organizzate con aiuole o alberi formanti complicati disegni geometrici, che terminano in una raggiera di cinque viali: esse occupano oltre mezzo chilometro quadrato. Dopo le terrazze Le Nôtre fece scavare un grande specchio d'acqua a forma di croce, il Grand Canal, collocato al  termine della prospettiva di un ampio tappeto erboso, il "Tapis Vert" o "Allée Royale", dal quale si dirama una nuova raggiera di dieci viali: contemporaneamente venne ritoccata la sistemazione delle terrazze, per adeguarle alla nuova scenografia, sostituendo molte aiuole con specchi d'acqua e fontane, che con i loro getti d'acqua costituivano il vanto di Luigi XIV.
Il punto centrale del giardino è la fontana di Apollo, apoteosi della grandezza del Re Sole: Apollo sul suo carro vittorioso emerge dalle acque come il sole dal mare. Percorrendo gli ampi viali del parco e costeggiando i boschetti popolati di vasi e statue in bronzo, marmo e piombo, oppure navigando lungo i Gran Canal, si possono raggiungere il Grand e il Petit Triaton.




Il primo, un palazzo all'italiana circondato da giardini fioriti, venne costruito da Mansart per offrire al re un luogo appartato dove ricevere Madame de Maintenon ed è formato da due corpi di fabbrica con tetto a terrazza, collegati da un peristilio in marmi policromi, con una predominanza rosa.




Il secondo, opera di Gabriel, fu ispirato da Madame de Pompadour e donato poi da Luigi XVI a Maria Antonietta che vi si recava spesso con i figli per sfuggire all'opprimente  etichetta e agl'intrighi della corte: è caratterizzato da un'austera facciata, mentre sul lato dei giardini quattro colonne scanalate, coronate da un'elegante galleria, si elevano fino al cornicione sotto la balaustrata.  




Altro aspetto che la storia tende a minimizzare, è quello dell’orto del Re, Le Potager du Roi






 perché in questa grande opera di Versailles, la parte che serviva a produrre i prodotti alimentari era (come prevedeva la tecnica dell’epoca) , un orto che però non fosse visibile insieme ai giardini, pertanto poteva esistere solo separato e nascosto. Questo orto, la cui reale esistenza è risaputa per l’importanza storica ma anche botanica, fu compito e creazione di  Jean-Baptiste de La Quintinie, uomo dotato di tecniche eccezionali per l’allevamento delle piante.

E’ un peccato che la visita di questa struttura non sia invece patrimonio di tutti coloro che vogliano visitarlo, perché sarebbe un motivo in più di arricchire cultura e storia.
Lo spazio, occupato di nove ettari, originariamente costituito da boschi e paludi e in pochi anni trasformati in orti e frutteti, recintato e collegato ad una parte della reggia è caratteristico per i metodi di produzione dei frutteti stessi, che sono impiantati in uno spazio di circa 500 metri quadrati per ogni specie (pere, mele, l’uva, pesche, albicocche ecc.).

Accanto a questi spazi riservati alla produzione, vi erano anche grotte naturali ed appositi edifici progettati  ad imitazione dell’Orangerie in modo tale che potessero ospitare fino a 700 alberi di fico in vaso, che attraverso la tecnica clorofilliana venivano fatti maturare gradualmente per soddisfare l’esigenze del Re, molto goloso di questo frutto particolarmente stagionale.]