I giardini di Versailles, con il "Petit Parc" (Grand Canal e Trianon), si estendono per circa 100 ettari. All'uscita del "Petit Parc", il cancello Reale immetteva sul "Grand Parc", riserva di caccia di 6000 ettari, smembrata ai tempi della rivoluzione francese. Per creare questo spettacolare esempio di giardini alla francese, Le Nôtre partì dalla posizione del castello, situato in cima a una collina dalle pendici diseguali, e dalla configurazione del terreno, tagliato da un asse centrale e da una rete di viali già dall'epoca di Luigi XIII, in cui aprì grandi prospettive punteggiate di specchi d'acqua, dando vita a quelli che sono oggi considerati tra le più grandi opere di quell’epoca giunte fino ai nostri giorni.
Versailles pianta, incisione di J.F.Blondel 1752
Giovanni Li Volti
L’artefice di quest’opera fu Luigi XIV, che espresse la volontà e fornì i mezzi necessari a renderla concreta, e sempre per questa, si avvalse delle capacità artistiche e professionali dei tre più grandi artisti, ognuno nel suo campo specifico: l’architetto che diresse i lavori Louis Le Vau , successivamente continuati dopo la sua morte da Hardouin-Mansart, il pittore André Le Brun allievo di Nicolas Poussin e infine il più grande giardiniere dell’epoca André Le Notre.
I lavori, furono lunghi e complessi e si estesero per un periodo di circa 20 anni, solo nel 1682 la capitale del regno diventò Versailles in sostituzione di Parigi; infatti l'inizio dei lavori e i successivi ampliamenti avvennero tra il regno di Luigi XIV fino a Luigi XVI.
Lo stato iniziale in cui si trovava il castello di caccia di Luigi XIII si cita testualmente essere stato “circondato da paludi e acquitrini con poche stanze e piccoli giardini”, è evidente che una prima condizione di non poco conto, nella quale si sono trovati ad operare i progettisti, fu quella relativa ad una bonifica non solo del terreno della residenza ma anche di tutto il territorio circostante.
Vi era da considerare anche una forte carenza d’acqua per gli impianti idrici adeguati per i giochi d’acqua dei giardini del castello.
S’imposero perciò delle opere idrauliche di proporzioni enormi, non solo per far arrivare l’acqua attraverso le tubature direttamente da Parigi, ma anche per ottenere una potenza tale da consentire lo svolgimento dei giochi d’acqua, a tal proposito furono inventate tecniche specifiche durante il percorso, che riuscirono ad imporre all'acqua la necessaria forza.
Questo aspetto, che la storia non evidenzia, lo si deve a Pietro Francini, figlio e nipote di quei Francini toscani arrivati da Firenze a Parigi per installarsi alla corte della fiorentina Maria dé Medici. Pietro Francini è fu infatti l'esecutore di tutte le prodigiose opere idrauliche, a cominciare dalla grotta della ninfa Teti, dove gli uccelli canori comandati da un organo idraulico, fanno cadere o scaturire l’acqua in veli argentati o in funghi cristallini.
André Le Notre quindi, massimo ideatore e disegnatore dei parchi di Versailles, che esordì con il parco di Vaux-le-Vicomte, aprì la seconda fase della sua storia artistica, realizzando con Versailles il suo capolavoro.
Le Notre era sensibile alle esigenze della scienza, e questo gli permise di adattare, con grande capacità, la sua creazione con le nuove scoperte delle leggi dell’ottica e dell’idraulica, e attraverso lo studio delle acque e dell’atmosfera creò le meraviglie che noi tutti conosciamo.
A Versailles oltre a costruire le fontane eccezionali, furono anche trapiantate intere foreste della Normandia e delle Fiandre e inoltre si fece mandare 50.000 bulbi da Costantinopoli, il regno orientale dei fiori.
Siamo verso la fine del milleseicento, e proprio con Le Notre che inizia un nuovo modo di progettare i giardini che prenderà il nome di “parterre”, infatti, si trattava di disporre il giardino in modo tale che fosse visibile anche da una certa distanza e che si estendesse lontano dall’abitazione.
Ma il parterre francese prevedeva che una visione d’insieme fosse di fondamentale importanza, e che fosse architettato con un viale centrale che si allungasse dalla casa verso le due parti del giardino perdendosi lontano, come per dare la sensazione di controllare lo spazio.
Questo modo di costruire i giardini con schemi razionali e prospettici, furono per molti anni predominanti nella cultura europea dei giardini, e furono un modello fino agli ultimi decenni del XIX secolo.
L'architetto iniziò a realizzare, ai piedi del castello, una serie di terrazze degradanti, organizzate con aiuole o alberi formanti complicati disegni geometrici, che terminano in una raggiera di cinque viali: esse occupano oltre mezzo chilometro quadrato. Dopo le terrazze Le Nôtre fece scavare un grande specchio d'acqua a forma di croce, il Grand Canal, collocato al termine della prospettiva di un ampio tappeto erboso, il "Tapis Vert" o "Allée Royale", dal quale si dirama una nuova raggiera di dieci viali: contemporaneamente venne ritoccata la sistemazione delle terrazze, per adeguarle alla nuova scenografia, sostituendo molte aiuole con specchi d'acqua e fontane, che con i loro getti d'acqua costituivano il vanto di Luigi XIV.
Il punto centrale del giardino è la fontana di Apollo, apoteosi della grandezza del Re Sole: Apollo sul suo carro vittorioso emerge dalle acque come il sole dal mare. Percorrendo gli ampi viali del parco e costeggiando i boschetti popolati di vasi e statue in bronzo, marmo e piombo, oppure navigando lungo i Gran Canal, si possono raggiungere il Grand e il Petit Triaton.
Il primo, un palazzo all'italiana circondato da giardini fioriti, venne costruito da Mansart per offrire al re un luogo appartato dove ricevere Madame de Maintenon ed è formato da due corpi di fabbrica con tetto a terrazza, collegati da un peristilio in marmi policromi, con una predominanza rosa.
Il secondo, opera di Gabriel, fu ispirato da Madame de Pompadour e donato poi da Luigi XVI a Maria Antonietta che vi si recava spesso con i figli per sfuggire all'opprimente etichetta e agl'intrighi della corte: è caratterizzato da un'austera facciata, mentre sul lato dei giardini quattro colonne scanalate, coronate da un'elegante galleria, si elevano fino al cornicione sotto la balaustrata.
Altro aspetto che la storia tende a minimizzare, è quello dell’orto del Re, Le Potager du Roi
perché in questa grande opera di Versailles, la parte che serviva a produrre i prodotti alimentari era (come prevedeva la tecnica dell’epoca) , un orto che però non fosse visibile insieme ai giardini, pertanto poteva esistere solo separato e nascosto. Questo orto, la cui reale esistenza è risaputa per l’importanza storica ma anche botanica, fu compito e creazione di Jean-Baptiste de La Quintinie, uomo dotato di tecniche eccezionali per l’allevamento delle piante.
E’ un peccato che la visita di questa struttura non sia invece patrimonio di tutti coloro che vogliano visitarlo, perché sarebbe un motivo in più di arricchire cultura e storia.
Lo spazio, occupato di nove ettari, originariamente costituito da boschi e paludi e in pochi anni trasformati in orti e frutteti, recintato e collegato ad una parte della reggia è caratteristico per i metodi di produzione dei frutteti stessi, che sono impiantati in uno spazio di circa 500 metri quadrati per ogni specie (pere, mele, l’uva, pesche, albicocche ecc.).
Accanto a questi spazi riservati alla produzione, vi erano anche grotte naturali ed appositi edifici progettati ad imitazione dell’Orangerie in modo tale che potessero ospitare fino a 700 alberi di fico in vaso, che attraverso la tecnica clorofilliana venivano fatti maturare gradualmente per soddisfare l’esigenze del Re, molto goloso di questo frutto particolarmente stagionale.]









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